L'inchiesta
Napoli ai tempi di Tangentopoli
Paolo Mieli con Lucio d'Alessandro, Rettore dell'Università Suor Orsola Benincasa
Nei primi anni '90 un terzo dei ministri della Repubblica era di Napoli. In quegli anni nel capoluogo partenopeo era concentrata la "intelligence" politica nazionale. Nel 1992 il ciclone Tangentopoli si abbatte sulla città e rade al suolo la sua classe politica. Perché è andata così? Come sarebbe oggi Napoli se allora le cose fossero andate diversamente?
Paolo Mieli riaccende i riflettori su un pezzo di storia singolare, "volutamente dimenticato, ma fondamentale nella storia italiana", dice.
Era quella la Napoli dei "vicerè", politici napoletani, figure di primo piano a livello nazionale. Tre di loro erano della Democrazia Cristiana.
Il primo è Antonio Gava, soprannominato proprio "vicerè", figlio d'arte di Silvio, che contribuì alle manovre che determinarono il declino politico di Achille Lauro. Fu presidente della Provincia e poi parlamentare e Ministro. Nell' '84 fu accusato di avere rapporti con la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo. Il giudice Carlo Alemi condusse l'indagine, ma non ci fu alcuna conseguenza. Nel '93 arrivarono anche le accuse di associazione mafiosa. Per questo motivo fece 3 giorni di carcere, pur avendo avuto un ictus. Poi nel 2006 chiese un risarcimento allo Stato di 38 milioni. Due anni dopo è morto all'età di 78 anni.
Il secondo dei vicerè democristiani è Paolo Cirino Pomicino, soprannominato 'o ministro, il braccio destro di Giulio Andreotti. "Ha subìto 42 processi ma credo che abbia avuto solo due condanne, una per il caso Enimont e l'altra per i fondi neri Eni" ricorda Mieli. Finì in carcere, ma solo per due settimane. Poi c'è il terzo: Enzo Scotti. Fu rinviato a giudizio per lo scandalo Sisde, per quello della nettezza urbana e per i mondiali di Italia '90. "Pomicino e Scotti avevano una forza politica tale da essere destinati come capi della Democrazia Cristiana" ha spiegato lo storico. Gava, Cirino Pomicino e Scotti erano chiamati "la corrente del Golfo", una delle più potenti all'interno del partito.
Poi c'erano i vicerè laici: Giulio Di Donato che non fu mai ministro, ma fu il braccio destro di Bettino Craxi, presidente del Consiglio tra il 1983 e il 1987. Tra i repubblicani lo storico Giuseppe Galasso. Sottosegretario ai Beni Culturali, fu condannato nel '96 per finanziamento illecito ai partiti, poi assolto in tutti i gradi di giudizio. Tra i liberali Francesco De Lorenzo, Ministro della Sanità e dell'Ambiente.
Sei vicerè intorno a cui si aggrovigliano le storie di altri politici minori, di giudici e giornalisti, tra processi, tangenti, assoluzioni e condanne. A questi sei si aggiunge un settimo vicerè, colui che ha riempito il vuoto politico lasciato dal ciclone Tangentopoli: Antonio Bassolino. Comunista, fu indicato dal suo partito per governare la città, prima come commissario e poi come sindaco. Fu ministro e poi anche presidente della Regione Campania. Una carriera politica in crescendo stroncata dalle vicende giudiziarie che lo colpirono nel 2007. "Dopo tante inchieste che hanno travolto la classe dirigente napoletana è emblematico l'arrivo di un giudice alla guida della città", commenta Mieli.
Ai tempi di Tangentopoli si sviluppava una classe politica potente e scaltra. "Se i fatti fossero andati diversamente, Napoli sarebbe potuta diventare la capitale della resistenza agli scandali, vista la sua importanza di allora" conclude Mieli. Su questi eventi indagheranno gli studenti della scuola di giornalismo di Napoli. Il risultato delle indagini sarà racchiuso in un volume che per la prima volta ricostruirà la vicenda attraverso le interviste ai protagonisti.
Rossella Grasso
[2.12.2014 - 18:04]
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