Giammarco Sicuro
Dalla pandemia alla guerra
Storia di un inviato e del suo "alpaca"
È uno dei giornalisti del momento, sulla rete pubblica italiana. Giammarco Sicuro, aretino di origini, è inviato speciale della RAI. Da studente della Scuola di Giornalismo di Urbino a reporter di guerra e non solo. Rientrato dal conflitto in Ucraina i primi di aprile, a Napoli ha presentato il suo libro "L'anno dell'Alpaca - Viaggio intorno al mondo durante una pandemia". Bloccato in Perù agli esordi della pandemia, si è ritrovato a passare da turista a cronista. Un viaggio intorno al mondo durato due anni che lo ha portato a raccontare la gestione della pandemia in tre continenti diversi. Dal Perù alla Spagna, al Messico e alla Corea del Sud, per poi tornare in Brasile. Questo è quanto racchiuso nel suo diario di bordo, che trae il nome da un animale peruviano. L'àlpaca o alpàca, come lui ama pronunciarlo (con accento spagnolo), è anche un souvenir in cui Giammarco si imbatte nel suo viaggio e che lo accompagnerà nell'avventura.
La storia di Giammarco è quella di un cronista che sceglie di "esserci per raccontare", come spiega nella lunga telefonata-intervista. "Mi è venuto naturale proporre alla mia azienda di trasformare la mia vacanza in lavoro", racconta, riferendosi al periodo in cui era rimasto bloccato in Spagna. "Si trattava di un fatto epocale, drammatico: avendo l'opportunità mi è sembrato giusto fermarmi lì e raccontare quanto stava accadendo". E se scegliere di fare il cronista in un paese straniero, in un momento di emergenza, è stata una casualità la prima volta, la seconda diventa una scelta: quando la Rai gli propone di partire per la Corea del Sud, Giammarco non esita. Zaino in spalla e si riparte. "Era il periodo in cui si iniziava a guardare agli altri paesi per capire i modelli di gestione: fondamentale avere uno sguardo più ampio sul mondo", commenta l'inviato. In questa occasione Giammarco, viene messo a dura prova,. La Corea, infatti, prevedeva un isolamento di 15 giorni in una struttura governativa. "È stato difficile - racconta - ma non quanto intervistare un primario in un reparto di terapia intensiva in Spagna". È qui Giammarco viene a conoscenza della tecnica del triage estremo: la dura selezione dei pazienti covid, ovvero la scelta da parte dei medici su chi curare, in base alle possibilità di sopravvivenza. "Un dramma senza fine, una delle esperienza che mi hanno colpito di più", dice.
L'idea di scrivere un libro non nasce spontanea, ma alla fine dei due anni di viaggio. Una sfida che Giammarco accoglie di buon grado dai suoi followers: "In tanti, incuriositi dalla mia narrazione sui social, mi hanno chiesto di raccogliere tutto in un unico libro". Da buon giornalista è sempre stato abituato alla cronaca e al racconto dei fatti, o meglio ai servizi televisivi di un minuto e mezzo. Scrivere un libro non era previsto. Eppure è successo.
Ciò che appassiona di più sia lettori che gli spettatori sono le storie e di storie Giammarco ne è esperto. "Come mi insegnano i miei modelli di riferimento, Terzani e Kapuscinski, il buon giornalismo viene dalle storie di gente comune, specialmente quando si trovano a vivere grandi eventi. Vedi la guerra e la pandemia". È per questo che Giammarco non crede nello scoop, o meglio nella sua spasmodica ricerca. "Non penso sia importante chi racconta prima un fatto ma il modo con cui lo si fa. Ogni giornalista ha una sua sensibilità e un suo modo di raccontare. Una notizia, una storia possono essere riprese e raccontate in maniera diversa".
Sui modelli giornalistici contemporanei, invece, Giammarco si esprime più duramente. "Credo che il giornalismo italiano abbia una disperata necessità di adeguarsi agli standard del giornalismo anglosassone, come il New York Times, la Bbc, e il Washington Post. Questo vale sia per il lavoro di cronaca in territorio nazionale che per il lavoro degli inviati". La mancanza di investimenti e i tagli di fondi sarebbero la causa del divario fra media italiani e stranieri.
Giammarco riprenderà il suo lavoro di inviato in Ucraina a breve, in base alla turnazione dei colleghi RAI. Se avesse la possibilità di scegliere tornerebbe in Afghanistan, dove è stato a inizio gennaio, è dove "c'è ancora un gran bisogno di raccontare storie". Scrivere un libro sull'Ucraina? "Chissà, forse in futuro. Al momento l'impegno di inviato in guerra richiede già molto tempo e dedizione".
Raffaella Grimaldi
[28.4.2022 - 12:15]
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