L'Uomo in più
Nikola Kalinic
il "nueve" ritrovato
Quando si pensa al numero nove del pallone, al mestiere del centravanti, vengono in mente tante cose. A cominciare dal duro lavoro, dalla fatica di andare a prendersi un pallone giocabile e trasformarlo in gioia per i tifosi. E Nikola Kalinic voleva tornare a esserlo sul serio, un numero nove. Voleva farlo dopo sei partite di astinenza, dopo voci di mercato a manetta e rognose squalifiche. Ma forse più di lui, era la sua Fiorentina a volerlo, vittima com'era di qualche pareggio e sconfitta di troppo.
Non sembra però la domenica giusta, quella alle spalle, quando al 55' il diagonale di Keità supera Tatarusanu. La Lazio è avanti e il rischio che l'Europa sfumi davvero c'è tutto. Il tempo intanto scorre inesorabile, altri dieci minuti vanno in archivio poi l'idea di Paulo Sousa: soluzione di rottura, triplo cambio in arrivo. E arriva anche il cambio di passo tanto atteso da un Franchi gelido fino a quel momento. Il pareggio passa per la testa di Babacar, su cross di Matias Vecino. Ma per il vantaggio e l'allungo che cambiano l'inerzia sul serio, è il croato a salire in cattedra mostrando unghie da ghepardo.
Perché solo un felino, a sei minuti dalla "patta" del 22', saprebbe sfruttare con tanto sprint e il giusto brio il tiro di Tello respinto male da Strakhosa e finito sui piedi di Radu. Ma anche sul tris, arrivato in meno di 180 secondi, è ancora lui a metterci lo zampino. Le fredde cronache metteranno pure la firma di Lombardi sull'autogol che vale il 3-1, ma chi ha visto sa che tutto nasce da questo "nueve" ritrovato. Fresco di quindicesimo centro stagionale, crea scompiglio in area. Palla tra i piedi, il giro e tiro è di quelli inconfondibili e irresistibili. Parte la bordata, solo il palo la ferma, ma non la fortuna.
Ora tutti lo decantano, anzi tutti tornano a farlo, pronto come sembra a riportare la viola in Europa. Ma fino al 2015 il gigante croato (che ha un omonimo cestista, di nazionalità serba) era semisconosciuto al grande pubblico. Certo, gli appassionati lo avevano sicuramente già notato, quel cristone là davanti. Faccia pulita, ma voglia di farsi largo tanta. Classe '88, cresce nelle giovanili dell'Hajduk Spalato, dopo qualche esperienza in prestito torna alla casa madre. Qui battaglia per il titolo di capocannoniere del campionato con un altro centravanti croato che come lui è finito in Italia, come lui destinato a grandi cose: Mario Mandzukic.
Le strade dei due sembrano seguire percorsi simili. Se Mario va in Germania, al Wolfsburg, Nikola va in Inghilterra, al Blackburn. Le parabole dei due, però, sembrano seguire strade diverse. Mandzukic diventa uno dei top europei nel ruolo, Kalinic sembra perdersi per strada. Con la maglia del Blackburn smarrisce la via del gol, sembra un Golia senz'anima. Si sbatte senza trovare mai il pallone, figuriamoci la via del gol.
Poi, però, come spesso accade nel calcio, la rivincita arriva lontano dai riflettori, nel silenzio. Nell'estate del 2011 il croato passa al Dnipro, in Ucraina. Qui, silenziosamente, rinasce. Ricomincia a macinare gioco e buttare la palla con continuità in quella porta che sembrava essere diventata sempre più piccola. Inizia a segnare anche in Europa, in Champions League e in Europa League.
Finalmente il vecchio continente sembra tornare a ricordarsi di questo ragazzo. Il Dnipro, dopo una lunga cavalcata, arriva in finale di Europa League, trascinato proprio dai gol di Kalinic. Il trofeo sfugge agli ucraini quando sembrava a un passo. Il gol del croato, in finale, non serve a mettere le mani sulla coppa che fu Uefa. E' solo un'illusione, il gol dell'1-0 per il Dnipro che uscirà sconfitto per 3-2 dal Siviglia.
Poi, un giorno prima di Ferragosto, nell'estate di due anni fa, arriva l'offerta che cambia tutto. Paulo Sousa, maniacale anche nella ricerca degli interpreti del suo modulo, ha deciso. Ha bisogno di un centravanti che all'occorrenza sappia tornare dietro a dare una mano, che non abbia paura di fare a sportellate e che faccia anche tutto quello che un uomo d'area deve fare: metterla dentro. Il tutto, con dei piedi più che decenti. Alla fine l'identikit perfetto è quello di Kalinic, che per poco più di 5 milioni di euro mette la maglia viola addosso. Pur di tornare in uno dei massimi campionati europei, pur di prendersi l'eredità di Toni e Batistuta, pur di riscattare la categoria bomber dopo il flop di Mario Gomez, accetta una sostanziosa riduzione di ingaggio rispetto a quanto percepiva in Ucraina. Una scelta che oggi, con 27 gol in 67 partite, non rimpiangerà mai.
Davide Uccella
[15.5.2017 - 21:25]
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