L'uomo in più
Honda, l'ultimo squillo
prima dell'addio al Milan
Milan-Bologna è di una noia mortale per un'ora abbondante. I rossoneri sono scesi in campo per i tre punti che segnerebbero il ritorno in una competizione europea dopo tre anni, ma l'unica azione degna di nota nei primi 60' è un sinistro di Lapadula calciato a lato da due passi.
Al 57° Montella stufo del 3-5-2 piatto e senza elettricità manda in campo Honda. Per dargli l'ultimo assaggio di San Siro prima dell'addio più che altro. Il pubblico di Milano, però, gli riserva solo qualche fischio, al più indifferenza. Quasi non importa che sia l'ultima partita al Meazza di quel giapponese che era arrivato a Milano nel gennaio 2013 in un misto di curiosità e scetticismo, e in poche settimane era stato bollato come mera operazione di marketing per aprire le porte del mercato asiatico a un Milan che all'epoca non era ancora di proprietà cinese.
Con il nuovo assetto il Diavolo ritrova vitalità. Proprio Honda prova a dare uno squillo con l'assist a Deulofeu, nell'azione che precede il gol dello spagnolo scuola Barcellona. Pochi minuti dopo c'è una punizione al limite dell'area per i rossoneri. Sul pallone va il giapponese con la 10: uno sguardo a Mirante, pochi passi, sinistro sul palo del portiere e due a zero. È la firma sul ritorno dei rossoneri in Europa, infiocchettato anche dal tap-in di Lapadula che arrotonda per il 3 - 0 e somiglia tanto alla ciliegina sulla torta.
Keisuke Honda sa di aver dato l'ultimo saluto ai tifosi milanisti, probabilmente deluso per non aver fatto di più in tre anni e mezzo. Lo si vede da come lo abbracciano i compagni a fine partita, da come si incammina verso gli spogliatoi con la testa bassa e piena di pensieri, da come riserva solo un timido «domo arigato», un sentito ringraziamento, riferito «a tutto il mondo milanista» ai microfoni dei tanti giornalisti nipponici che lo seguono.
Osannato in patria come simbolo di professionalità e impegno, Honda è da anni il faro della nazionale nipponica. Il leader emotivo e tecnico della squadra del Sol Levante, però, non è mai riuscito a imporsi nel calcio che conta. E probabilmente ha perso l'ultimo treno per farlo. A 31 anni (a giugno) difficilmente troverà una squadra europea di caratura internazionale che può garantirgli un posto da titolare o un minutaggio consistente. Il fratello agente potrebbe portarlo in uno dei tanti club, asiatici o statunitensi, che sono pronti a fargli firmare contratti milionari, per una pensione dorata. Ma l'intenzione dichiarata è quella di rimanere in un top campionato per arrivare al meglio al Mondiale 2018.
Se con la maglia del Cska Mosca ha fatto vedere il meglio di sé a livello europeo, al momento di fare l'ultimo step per consacrarsi, in rossonero, non ha mantenuto le promesse. Un rendimento altalenante e tendente al ribasso l'ha trasformato ben presto da nuova speranza a fattore negativo nei cuori dei tifosi milanisti. Tre anni e mezzo senza troppi squilli: diverse buone prestazioni ma con una continuità mai trovata davvero. Probabilmente perché inghiottito dal periodo negativo di una delle peggiori versioni del Milan dagli anni '90 ad oggi.
Il suo piede sinistro sarebbe di quelli raffinati, come quello di altri giocatori ben più quotati di lui. Non ha mai fatto mancare il suo apporto in termini di generosità e di dispendio di energie ai suoi allenatori, ma per lasciare una traccia, un segno nella storia di un club che ha avuto i Gullit e i Kakà, c'è bisogno di ben altro.
Eppure l'addio di Keisuke al Meazza lascia l'amaro in bocca. Se non altro per la sensazione che avrebbe potuto far vedere qualcosa di meglio, che il suo talento non sia sbocciato del tutto, che il suo sinistro avrebbe potuto disegnare traiettorie ben diverse per il pallone e la sua carriera. Per l'idea di quello che sarebbe potuto essere e non è stato.
Alessandro Cappelli
[23.5.2017 - 12:57]
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