Tennis
L'epica soglia dei venti Slam
Ancora sfida tra Federer e Nadal
Objects in the mirror are closer than they appear. Chissà se a Roger Federer sarà venuto in mente il titolo di questo CD di Nancy Moran, quando alle tre di notte (ora italiana) tra domenica 8 e lunedì 9 settembre, sull'Arthur Ashe di New York, la risposta di Daniil Medvedev è uscita di un buon mezzo metro, consegnando di fatto a Rafa Nadel il suo quarto US Open e il suo diciannovesimo Slam. Uno in meno dei venti nella bacheca dell'elvetico. 7-5, 6-3, 5-7, 4-6, 6-4. Basta il risultato a dare l'idea di una partita dai due volti. E per questo più spettacolare del previsto.
All'atto conclusivo, i due finalisti si sono presentati in condizioni fisiche diversissime. Fresco Nadal, bravo ad approfittare di un tabellone che qualche insidia la poteva nascondere. Nell'ordine il maiorchino aveva eliminato Millman, Kokkinakis, Chung, Cilic (l'unico ad avergli strappato un set prima della finale), Schwartzman e, in semifinale, Berrettini, con il tennista italiano che ha lottato, che ha anche avuto un set point nel primo parziale, ma che, alla fine, si è arreso con il punteggio di 7-6, 6-4, 6-1. Stanco - al contrario - Medvedev. A dargli problemi non Djokovic e Federer - eliminati prematuramente - ma i crampi e l'ostilità di un pubblico americano che ci ha messo un'intera settimana per perdonargli le intemperanze mostrate contro un raccattapalle durante il match del terzo turno contro il veterano spagnolo Feliciano Lopez. Ai quarti tifavano tutti Wawrinka - già campione in America nel 2016 - con lo svizzero che sembrava effettivamente più in forma, dopo la vittoria sul detentore del titolo Djokovic. Risultato? Vittoria del Next Gen in quattro set, con Stan the Man che ha avuto un moto di orgoglio soltanto nel terzo parziale. In semifinale copione identico, con un'unica variante: Grigor Dimitrov, giustiziere di un Federer con il mal di schiena, nei panni del beniamino del pubblico. Ai punti il bulgaro ha giocato meglio, ma Daniil ha meritato la vittoria con concretezza e resilienza.
E dire che, in finale, era stato Medvedev a breakkare per primo. Un'onta che ha risvegliato l'istinto da lottatore di Nadal, che ha controbreakkato immediatamente e che, sul 6-5, ha fiutato la paura del suo avversario e ha portato a casa il primo set. Dopo un secondo parziale di contenimento e un break nel terzo set sul 3-2, sembrava che il mancino di Manacor avesse la vittoria in tasca. E invece, il russo si è semplicemente rifiutato di perdere. Troppo bruciante il ricordo del 6-3, 6-0 patito poche settimane prima nel Master 1000 del Canada. Immediato controbreak per il 3-3 e servizio strappato sul 5-6. E poi di nuovo allungo nel decimo gioco per il definitivo 6-4 del quarto set. Partita girata a favore di Medvedev? Niente affatto. Break nel quinto gioco del decisivo quinto set a favore di Nadal e di nuovo nel settimo, sempre a favore del mancino di Manacor. Il moto di orgoglio del russo stavolta non è servito. Recuperato uno dei due break, il maiorchino ha avuto due match point sul 5-3, prima di capitalizzare il suo turno di servizio e chiudere 6-4, annullando una palla break che avrebbe riaperto definitivamente la finale.
Con il quarto successo a Flushing Meadows, si riapre il dibattito: riuscirà Nadal a superare il numero di Slam vinti dal suo amico e rivale Federer? L'attuale conteggio dice 20 a 19 per l'elvetico, ma le variabili sono enormi. Rafa ha cinque anni in meno di Roger, il che gli dà materialmente il tempo necessario per il sorpasso, a prescindere da quanto il gioco del maiorchino possa essere effettivamente usurante in rapporto alle sue trentatré primavere. Inoltre, se batterlo sul cemento o sull'erba è difficile, ma non impossibile, averne la meglio nel feudo Roland Garros sembra pressoché proibitivo. Anche nel prossimo Open di Francia, Nadal è il favorito indiscusso, con una concreta possibilità di raggiungere quota venti già a giugno del 2020 (non è un gioco di parole).
D'altro canto, non si può neanche escludere che Federer non vinca più Slam. Vero, lo svizzero si presenterà agli Australian Open da navigato trentottenne, ma il suo talento è talmente cristallino che in qualsiasi torneo e a qualsiasi età non lo si può escludere dal novero dei favoriti. L'ultima volta che gli addetti ai lavori ne hanno sottovalutato la classe era gennaio 2017 e Roger si presentava in Australia da numero 17 del ranking. Com'è finita? Slam numero 18, conquistato dopo un'epica Fedal battle conclusasi al quinto set e con Nadal avanti di un break nell'ultimo parziale. Certo, quel nono Wimbledon appena sfiorato e quella infernale sequenza 8-7, 40-15, due match point al servizio, saranno un rimpianto per sempre. Ma da un tennista che per venti volte ha saputo far trionfare il talento sull'emotività, ci si può aspettare di tutto fino al ritiro.
In realtà ci sono altri due aspetti da tenere in considerazione: innanzitutto, la corsa agli Slam non è un affare a due. Da ormai dieci anni è sbagliato parlare soltanto di Fedal, perché al terzo posto di questa speciale classifica c'è un altro tennista in attività: quel Novak Djokovic che starà anche simpatico a pochi, ma che ha trentadue anni e che è già a quota sedici titoli maggiori. Allo stato attuale, il serbo - se in forma - è il numero uno del circuito, con concrete possibilità di vincere tre/quattro Slam nei prossimi due anni. Soltanto problemi alla spalla o al polso potrebbero fermarlo. Ma nessun amante dello sport gli augurerebbe un epilogo di carriera così amaro.
Secondariamente, sarebbe ingiusto sottovalutare il potenziale dei Next Gen. Dietro i Fab 3, c'è un esercito di ragazzi rampanti e desiderosi di non diventare una Lost Gen 2.0, sulle orme dei vari Dimitrov, Goffin e Nishikori. Zverev ha già vinto tre Master 1000 a ventitré anni: prima o poi dovrà andare oltre un quarto di finale Slam. Thiem è arrivato per due volte di fila in finale al Roland Garros. Nel 2018 ha portato a casa un netto 6-4, 6-3, 6-2, quest'anno è riuscito a strappare un set a Nadal, ma si è dovuto comunque accontentare del trofeo degli sconfitti. Se c'è qualcuno che può insidiare il dominio del maiorchino in Francia, è proprio lui. Lo stesso Medvedev sarà chiamato, nella prossima stagione, a confermare i progressi fatti vedere nel trittico Canada, Cincinnati, US Open. A completare il manipolo della Next Gen, nomi del calibro di Tsitsipas (21 anni, semifinalista in Australia lo scorso anno e a caccia del suo primo Master 1000), Auger-Aliassime (19 anni), Shapovalov (20 anni) e, perché no, l'italiano Matteo Berrettini (23 anni), fresco semifinalista a Flushing Meadows e con concrete possibilità di giocare le Finals a Londra a novembre.
In attesa dei prossimi Australian Open, questo è il tempo dei dibattiti, dei what if e delle riflessioni. Ma la verità è che il 2020 per il tennis sarà epico. Sarà l'anno in cui il mito Fedal verrà definitivamente consegnato alla leggenda, o quello in cui comincerà la caduta degli dei. Venti, come il numero di Slam sicuri per Federer. Venti, come la soglia Slam che potrebbe raggiungere anche Nadal. Venti più venti. 2020.
Michela Curcio
[13.9.2019 - 13:14]
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