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Ti licenzi? Sono "assegni" tuoi

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 3015 del 7 febbraio 2018, ha stabilito che l'ex coniuge che si dimette dal lavoro, su base di una scelta di vita personale, non può pretendere la maggiorazione dell'assegno divorzile. La Corte ha, infatti, stabilito che la ricorrente, «abilitata all'esercizio della professione forense e proprietaria di un terreno e di un appartamento da cui percepiva un canone di locazione» non dovesse ricevere più soldi dall'ex coniuge. La Corte ha altresì ricordato che la conservazione del tenore di vita matrimoniale non costituisce più un parametro di riferimento utilizzabile né ai fini del giudizio sull'an debeatur né di quello sul quantum debeatur, la cui determinazione è finalizzata a consentire all'ex coniuge il raggiungimento dell'indipendenza economica. «A giustificare l'attribuzione dell'assegno non è, quindi, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all'epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente, ma la mancanza della "indipendenza o autosufficienza economica", intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa». La Suprema corte ha poi rigettato anche la richiesta di assegnazione della casa coniugale dal momento che l'unico figlio della coppia era maggiorenne e viveva con il padre.

n° 1542 - giovedì 22 febbraio 2018
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tag Corte di Cassazione | Famiglia | Coniugi | Moglie | Assegno divorzile | Licenziamento



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